Tab Article
Bisogna andare oltre il Pci e persino oltre i protagonisti del movimento operaio del '900, intanto però comprendendoli tutti: rivoluzionari e riformisti, comunisti, socialisti, anarchici, operaisti, marx-leninisti e marxisti eretici, socialisti utopisti e autogestionali e altri ancora. Non si tratta di dare luogo a una pacificazione postuma delle tendenze che si sono scontrate nel corso della storia. Si tratta di ricomprenderle insieme ai tentativi che ci sono stati prima del secolo del movimento operaio, ossia a fine '800, di costruire la città futura. E si tratta di ricomprenderle insieme alle esperienze di lotta e di liberazione che si sono manifestate criticamente insieme ad esso o dopo di esso, aprendo, così, pagine inedite ed essenziali di altre storie: il femminismo, l'ecologismo integrale, i diritti della persona. E si tratta di rileggerle alla luce del processo di liberazione, delle straordinarie esperienze sociali, politiche e umane delle donne e degli uomini che ne sono stati protagonisti, delle conquiste realizzate e della grande sconfitta continuando a indagare le cause e chiedendosi se e come sarebbe potuto andare diversamente, rileggendo con i "se" l'intera storia del movimento operaio e di liberazione del '900 per riempire la bisaccia. Del resto la connessione vitale tra passato, presente e immaginazione del futuro è indispensabile per respingere la vocazione totalitaria del capitalismo finanziario globale a rinchiudere il tempo nell'istante per consumarlo insieme agli uomini ridotti a merce. Il problema è costituito proprio dal capitalismo. L'aveva individuato, per primo e chiaramente, Marx. Il '21 l'ha tradotto in politica, in Italia. È questa la lezione che resta. Essa si può riassumere in due punti decisivi: la centralità del conflitto di classe e la radicalità nella politica. Andare alla radice del conflitto di classe, per scoprire che ciò che va abbattuto - oggi si può dire, con lo stesso significato, superato - è il capitalismo. Il famoso "balzo di tigre" invocato da Walter Benjamin è diventato nel dibattito politico forse troppo ricorrente, tanto da oscurarne la portata eccezionale, radicalmente rivoluzionaria. I vinti giusti non hanno pace, cioè non è riconosciuta la verità della loro impresa, se non si afferra, per renderla attuale, la ragione di lotta nel loro tempo, proprio quella che li vide sconfitti. La commemorazione dei vinti giusti e della loro causa resta altrimenti opera inerte. Per riportarli nella storia è necessaria la rammemorazione, la messa all'ordine del giorno della contesa, della politica, la causa della loro lotta sconfitta. Se parliamo del '21 e, più in generale, del '900 e del proletariato, la causa è la conquista della società dell'eguaglianza e della libertà. [...] Per questo, discorrendo della scissione di Livorno e della nascita del Partito comunista, proprio questo "balzo di tigre nel passato" dovrebbe essere considerato la fonte dell'azione per la rinascita di una politica della liberazione. La natura del nuovo capitalismo dovrebbe spingere i suoi critici in quella direzione.